Si ritiene comunemente che il silenzio, per essere tale,
coincida con uno stato di esenzione da qualsiasi parola o rumore, ma questo non
è vero.
Infatti, al contrario di quel che si pensa, anche il silenzio può
essere assordante: non per nulla nel modo di dire napoletano ci si rivolge
talvolta a chi ascolta, avvertendolo di non parlare. Tanto il suo pensiero si
sente lo stesso.
Mentre nella tradizione pugliese si dice che “una parola è poca
e due sono troppe”, nella tradizione italiana si dice che “la parola è
d’argento, e il silenzio è d’oro”.
Ma cos’è veramente il silenzio?
Viene dunque in rilievo il valore del silenzio, ovvero la
domanda che cosa c’è dietro il mero silenzio?
Nella tradizione cattolica, il valore del silenzio viene
fatto più o meno erroneamente generalmente coincidere, o con il principio del “Porgi
l’altra guancia!”, o con la regola benedettina dell’ “Ora et Labora”. Ma i
predetti concetti sono indistinti, non equiparabili, e affatto coincidenti,
dato che il principio del “Porgi l’altra guancia!” attiene ad un sistema di
vita, mentre la regola benedettina dell’ “Ora et Labora” riguarda il momento
del rapporto con il metafisico ed il trascendente.
Prova ne è che nella tradizione cattolica infatti, non viene ad
esempio spiegato se la mancata risposta ad un torto debba essere silenziosa o
meno; ovvero se il fatto di orare, e cioè di pregare, debba essere un fatto
intimistico privato e silenzioso o meno.
Molto meglio ed in generale, invece, ancorarsi a dati certi,
per cui può dirsi, secondo tutte le grandi religioni monoteistiche del mondo,
che la preghiera del singolo è certamente un fatto intimistico privato e
silenzioso, mentre la preghiera di gruppo, intesa come lode al Trascendente, è
in generale non silenziosa.
In realtà, per quel che qui interessa, il valore del silenzio
attiene ad un'intima ricerca che ciascuno compie con la parte più profonda del
proprio io, raccogliendo tutte le sue forze al fine di trovare quello stato di
concentrazione che lo pone in una dimensione quanto più diretta possibile con il proprio sé ed eventualmente con
il Trascendente. E dunque in una veste, che rende il silenzioso unico ed inattaccabile.
La dimostrazione deriva dal fatto che, se per un verso la
preghiera viene intesa come una dinamica singola e collettiva nella quale
ciascuno interpreta la sua parte nel rapporto con sé stesso e/o con l’aldilà,
in realtà la preghiera più vera è quella in cui ognuno esprime il proprio
essere e la propria spiritualità in un ambito del tutto personale e silenzioso.
Si pensi, ad esempio, a tutto quello che sta nel silenzio della meditazione, o
nel silenzio della pace. Dove il silenzio non costituisce più carenza, ma
momento di costruzione all’interno di una diversa forma di spiritualità, anche
alla ricerca di una maggiore consapevolezza di sé stessi.
.
Attenzione, però. Sostenere che il silenzio è una forma di spiritualità non deve portare a confondere silenzio e meditazione, dato che i due predetti termini sono ben distinti, e dato che la meditazione può costituire parte del silenzio, ma mai l’intero. Quando si parla di meditazione, si definisce infatti uno stato della coscienza che può essere ottenuto, o mediante l'indirizzamento volontario della nostra attenzione verso un determinato oggetto (meditazione riflessiva), o mediante la completa assenza di pensieri (meditazione recettiva = contemplazione), che si manifesta con tipologie differenti a seconda che la meditazione sia oggetto di attenzione e di esame delle religioni e delle filosofie orientali, del cristianesimo, dell’islamismo, etc..
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Attenzione, però. Sostenere che il silenzio è una forma di spiritualità non deve portare a confondere silenzio e meditazione, dato che i due predetti termini sono ben distinti, e dato che la meditazione può costituire parte del silenzio, ma mai l’intero. Quando si parla di meditazione, si definisce infatti uno stato della coscienza che può essere ottenuto, o mediante l'indirizzamento volontario della nostra attenzione verso un determinato oggetto (meditazione riflessiva), o mediante la completa assenza di pensieri (meditazione recettiva = contemplazione), che si manifesta con tipologie differenti a seconda che la meditazione sia oggetto di attenzione e di esame delle religioni e delle filosofie orientali, del cristianesimo, dell’islamismo, etc..
Ma, se per un verso è vero che la
meditazione compare inizialmente nelle Upaniṣad, le scritture sacre induiste
compilate approssimativamente a partire dal VII secolo,
dove il primo riferimento esplicito alla meditazione che sia giunto fino a noi
viene indicato con il termine sanscrito dhyāna; e se per
altro verso ancora è vero che la concezione latina della meditazione
(dal latino
meditatio, riflessione) consisteva nella generale pratica di
concentrazione della mente
su uno o più oggetti, immagini, pensieri (o talvolta su nessun oggetto) a scopo
religioso,
spirituale, filosofico o
semplicemente di miglioramento delle proprie condizioni psicofisiche; non può
dirsi che anteriormente al VII secolo, ovvero al primo
riferimento esplicito alla meditazione, non esistesse il silenzio introspettivo
rivolto alla migliore conoscenza di noi stessi. La vicenda del personale vissuto
tradimento delle Tavole della Legge da parte di Mosè ne è ampia prova.
Cosicché, l’aver ben successivamente sommariamente ricompreso nella meditazione (nel senso latino del termine) un percorso religioso o spirituale, o filosofico con un percorso teso ad un miglioramento delle proprie condizioni psicofisiche, ha fatto sì che venissero erroneamente unificati e confusi i concetti di meditazione e di silenzio.
Cosicché, l’aver ben successivamente sommariamente ricompreso nella meditazione (nel senso latino del termine) un percorso religioso o spirituale, o filosofico con un percorso teso ad un miglioramento delle proprie condizioni psicofisiche, ha fatto sì che venissero erroneamente unificati e confusi i concetti di meditazione e di silenzio.
In realtà, però, è oggi ormai
acclarato che esistono molti percorsi personali che non si rinvengono
all'interno di una religione o una filosofia,
ma di cui il silenzio, ed all’interno di questo la meditazione, è uno strumento
indispensabile per approfondire i lati oscuri di noi stessi. E infatti molti si
avvalgono di un maestro di passaggio, "padre"/"madre", che
permette loro di fare un cammino, un percorso, che attraversa nuove realtà
e che si lascia alle spalle vecchi mondi, in un procedere verso una sempre maggiore
consapevolezza di se
stessi e della realtà, anche in una ottica riduzione della sofferenza.
Tant’è che già da oltre 25 secoli la meditazione del Buddha
storico o Gautama Buddha (Siddhartha Gautama, 566 a.C.-486a.C.), come di
altri saggi o illuminati che successivamente ne seguirono il pensiero, non era
ascritta a nessuna religione o filosofia, ma seguiva un cammino personale.
Tralasciandosi in questa sede:
. -
l’analisi degli studi scientifici che, all’incirca dal 1970, hanno evidenziato l’efficacia del silenzio
assistito, e dunque della meditazione assistita, nella diminuzione di ansia e
stress, e nel miglioramento della salute, nell’ambito dei percorsi personali
rivolti alla migliore conoscenza di noi stessi, con tutti i componenti comuni a
tutti i metodi meditativi (rilassamento, concentrazione, alterato stato di
coscienza, sospensione dei processi di pensiero logico e razionale, presenza di
una attitudine alla autocoscienza ed alla auto-osservazione, etc.);
. - i
numerosissimi studi della comunità medica sugli effetti fisiologici della meditazione,
e su come la meditazione Zen possa modificare le connessioni nervose del
cervello;
- il
recente (2007) studio scientifico americano che ha dimostrato i rilevanti effetti
della meditazione sul miglioramento delle condizioni di vita, con la depressione che si
attenua, con le difese
immunitarie che si rinforzano, con la meditazione che
abbassa i livelli di rabbia, ansia,
depressione e fatica,
e con la conclusione che nei processi mentali, la consapevolezza e l'attenzione
sono aspetti della vita che possono essere esercitati, esattamente come accade
per i muscoli;
. - le ormai
scientificamente consolidate conseguenti acquisizioni sull’influenza del
silenzio nella meditazione;
ne deriva che il silenzio diventa così una forma di
dialogo interiore dove tutti hanno qualcosa da dire, non solo a sé stessi, ma
pure al trascendente o al vicino. E detto dialogo perseguono pur senza profferir
parola. Si provi ad immaginare quelle coppie serene di persone in cui le due parti della coppia, pur essendo vicine, e nonostante ciascuna impegnata ad attendere ai
propri da fari, dialogano continuativamente nel silenzio di un rapporto che è
comunque costruttivo.
Tant’è che rilevava il giornalista ed intellettuale ungherese Sandor Marai (Sandor Kàroly Henrik Grossschmid de Màra, 1900-1989) < Si può entrare in contatto con le persone anche senza parlare.[...] c'è un modo di entrare in contatto tra esseri umani più percettivo e affidabile della parola, fatto di sguardi, silenzi, gesti e messaggi ancora più sottili; è il modo in cui un essere umano nel suo intimo risponde al richiamo di un altro, quella silenziosa complicità che nel momento del pericolo dà alla muta domanda una risposta più inequivocabile di qualsiasi confessione o argomentazione, e il cui senso è semplicemente questo: io sono dalla tua parte, anch'io la penso così, condivido la tua preoccupazione, noi due siamo d'accordo...) >.
Tant’è che rilevava il giornalista ed intellettuale ungherese Sandor Marai (Sandor Kàroly Henrik Grossschmid de Màra, 1900-1989) < Si può entrare in contatto con le persone anche senza parlare.[...] c'è un modo di entrare in contatto tra esseri umani più percettivo e affidabile della parola, fatto di sguardi, silenzi, gesti e messaggi ancora più sottili; è il modo in cui un essere umano nel suo intimo risponde al richiamo di un altro, quella silenziosa complicità che nel momento del pericolo dà alla muta domanda una risposta più inequivocabile di qualsiasi confessione o argomentazione, e il cui senso è semplicemente questo: io sono dalla tua parte, anch'io la penso così, condivido la tua preoccupazione, noi due siamo d'accordo...) >.
O si pensi ancora a coloro - due o più persone - che,
nell’ambito del proprio dialogo, arrivati ad un certo punto si estraniano da
questo abbandonandosi ai propri pensieri, per poi ritornare su questa terra
come se nulla fosse (rilevava infatti il Mahatma Gandhi) < Il rumore non può
imporsi sul rumore. Il silenzio sì. >). E dove l’essersi abbandonati ai
propri pensieri non costituisce per nulla soluzione di continuità al dialogo
con le persone che avevamo accanto.
Deriva da quanto sopra che il silenzio non può e non deve
intendersi come un momento di frattura con quello che ci circonda, ma deve
invece essere interpretato come una specie di castello fortificato all’interno
delle cui mura ognuno si ripara, protetto, e ritrova la propria strada e la
propria conseguenzialità attraverso la riflessione sugli accadimenti che in
qualche maniera lo hanno coinvolto.
Il silenzio, dunque, anche come riflessione, dato che, troppo
spesso erroneamente, viene inteso come momento nel quale si può non pensare o nel
quale non si ha niente da dire. E questo è tanto vero che taluni assimilano il
silenzio come momento fondamentale per poter acquisire uno stato di particolare
concentrazione o di stato prodromico al sonno.
Il silenzio, dunque, come momento fondante del nostro essere,
nel quale un apporto alla riflessione ci viene dato da una serie di
sollecitazioni esterne che appunto ci inducono alla riflessione, e che di questa
fanno parte integrante.
La riflessione che diventa quindi, non soltanto un mezzo per
attingere a quello che c’è dentro noi stessi, ma anche per comprendere quello
che ci circonda e che noi finiamo per metabolizzare come nostro in quanto particolare
nel generale.
Il silenzio.
Arma di difesa che ognuno di noi possiede quando,
nell’impossibilità di sfogarci con le parole, non ci rimane che il nostro mondo
personalissimo, all’interno del quale siamo assolutamente liberi e del tutto
intangibili e inattaccabili.
E così, se non può e non deve essere minimamente dubbio che
questo risultato lo si può ottenere soltanto nell’ambito di un processo che
alla fine ci convince di una unità di prospettive e di intenti con chi ci
circonda, la ricerca di adeguati compagni di viaggio finisce con l’essere
legata ad un calcolo probabilistico, e dunque a quel gioco che fa parte degli
imprevisti e probabilità della vita.
Dato che nella ovvia impossibilità di trovare qualcuno o
qualcosa che sia perfettamente compatibile con noi, qualsivoglia conseguente
calcolo deve essere sempre basato su un calcolo probabilistico che ognuno di
noi compie sempre in silenzio.
In conclusione, dunque, il silenzio finisce col divenire un valore assoluto sul quale poterci appoggiare sempre, e soprattutto, maggiormente, nei momenti in cui dobbiamo tirar le fila di ogni nostra percezione. Se così noi italiani ci siamo in generale avvicinati al concetto di meditazione soltanto quando agli inizi degli anni 80’ il noto showman Renzo Arbore divenne il testimonial della birra italiana con lo spot “Meditate gente!; meditate!”, circa un secolo prima, un uomo ancor oggi considerato al pari di un santo, il poeta filosofo e grande pensatore indiano Swami Vivekananda (Narendranath Dutta, 1863-1902), induista e profondo conoscitore delle religioni e del cristianesimo, scriveva <
Siediti ai bordi dell’aurora,
per te si leverà il sole.
Siediti ai bordi della notte,
per te scintilleranno le stelle.
Siediti ai bordi del torrente,
per te canterà l’usignolo.
Siediti ai bordi del silenzio,
Dio ti parlerà. >.
per te si leverà il sole.
Siediti ai bordi della notte,
per te scintilleranno le stelle.
Siediti ai bordi del torrente,
per te canterà l’usignolo.
Siediti ai bordi del silenzio,
Dio ti parlerà. >.
Per capire te stesso, e forse anche per parlar meglio con
Lui ……………….. !
D.S. ♥
D.S. ♥