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martedì 25 giugno 2013

Passeggiando da Oriente a Occidente: “Il Cuore cede quando si deve separare dai sogni !” Muovendo da Quirico, attraverso Baricco, ed arrivando a Chopra.

Uno dei film più affascinanti degli ultimi anni è certamente “L’ultimo Imperatore” di Bernardo Bertolucci(1), che, attraverso la storia dell’ultimo imperatore cinese Pu Yi(2), ripercorre una vicenda del nostro mondo, perlopiù assai poco conosciuta, e svoltasi nell’arco del Novecento. Film epico e biografico che, al di là di come lo si voglia considerare, ha una tale dovizia di particolari estetici/scenografici/introspettivi che lo rendono certamente unico. Il tema viene poi di recente ripreso da Domenico Quirico che, in un capitolo del suo libro “Gli ultimi”(3), affronta le introspezioni psicologiche del fatto e dell’uomo. E dove fra l’altro si legge, proprio a proposito di Pu Yi, “Il cuore cede quando si deve separare dai sogni(4).

Ma: è vero?
Una necessaria riflessione va dunque posta sul rapporto, vero, reale, effettivo, cuore/sogno. In verità il sogno, nella sua accezione tecnico/positiva, quando cioè non ripercorre accadimenti vissuti o che si vorrebbero vivere, o quando non si traduce in paure o peggio in incubi, è certamente la speranza del domani, ovvero quello che noi desidereremmo o vorremmo di positivo dal domani.

Lo scrittore Alessandro Baricco, di recente, ha riaffrontato il tema, ed utile appare ripercorrere il suo ragionamento, che però si muove pervaso pienamente del suo essere narratore. Ebbene, Baricco ha ritenuto di interpretare la sua visione del domani come l’aspettativa del futuro, come la visione del futuro, con tutte le trappole che circondano detta visione.
Tant’è che per arrivare al futuro, partendo dalla funzione progetto/progresso, supera il nuovo, oltrepassa il cambiamento, scavalca la differenza, e perviene al futuro come complesso di esperienza. Vediamo nello specifico il ragionamento di Baricco.

Egli, partendo dal presupposto che oggi conta più la narrazione, di quel che invece è il dato reale, ha osservato che “il futuro è finito”, in quanto entità divenuta indistinta, e dunque non più qualificabile, nel quale scaricare tutte le questioni irrisolte dell’oggi.


Rilevando che in tempi andati la funzione progetto/progresso generava il futuro, Baricco rileva come oggi, in occidente, la funzione progetto/progresso, al di là di campi più unici che rari (ad es. quello medico), non genera più futuro, ma si è trasformata nel concetto/simulacro di nuovo.

Il nuovo, dunque, come concetto assimilabile al futuro, ma che futuro non è, dato che invece si inquadra in una diversa categoria dove il nuovo alla fine rappresenta un impoverimento drastico quasi verticale, essendo un concetto di stretta provenienza commerciale.

Ma il nuovo, oggi, non è cambiamento, ma bensì immobilismo. Ovvero, per dirla come diceva ne “Il Gattopardo” Giuseppe Tomasi di Lampedusa(5), il nuovo è il “cambiare tutto per non cambiare nulla”. Dato che il nuovo non coincide affatto con il futuro, non avendo il nuovo un suo obiettivo che non sia quello di offrire in modo sistematicamente diverso formule che rimangono però sostanzialmente sempre le stesse.

Se dunque, la nostra civiltà sta scambiando il futuro con il nuovo, occorre un superamento del concetto di nuovo. E questo superamento lo si può ottenere, abbandonando il concetto di nuovo, ed introducendo il concetto – considerato categoria – di cambiamento. Sostituendo così il concetto di nuovo con la categoria del cambiamento.

Ma il cambiamento, che potrebbe sembrare il nuovo, invece, in sostanza, nuovo non è. Guardando al futuro, infatti, neppure il concetto di cambiamento aiuta. E del resto il sogno, ovvero quello che noi desidereremmo o vorremmo di positivo dal domani, dal futuro, non può coincidere con la semplice categoria di mero cambiamento.

Ne sarebbe prova il fatto che, se si vuole identificare l’atteggiamento di noi occidentali verso il futuro, può dirsi che noi siamo oggi una civiltà che ha annesso in sé il passato ed il futuro; dove il presente è l’unico ossessivo accadimento, febbrilmente immobile, assolutamente infernale; e dove il futuro è dunque scomparso. Senza così volere entrare nel merito di ciò che accade nel presente, lo scrittore è certo che, se è vero che lo scopo esclusivo del presente è quello di perpetrarlo su parole d’ordine coniate nel passato, assicurando al presente una specie di sopravvivenza costante, immobile; in questo quadro il futuro è finito. E con esso i sogni verso la speranza del domani; ovvero, ciò che il nostro cuore desidera per il domani.

Ne consegue che, in quanto esclusivamente proiettati sul presente, da nessuna parte possiamo trovare una vera prospettiva che renda necessaria la categoria di futuro. Tanto è vero che il mondo sembra autonomamente funzionare senza la categoria di futuro. Con una conclusiva separazione tra i nostri sogni ed il nostro cuore.

Sorge dunque per tutti la necessità di porci delle domande. Dato che la sempre maggiore promiscuità fra gli esseri umani di questo mondo, che Baricco chiama “i nuovi umani”, quale conseguenza della cd. globalità, ha portato con sé, istintivamente, una diversa grammatica della mente, una diversa meccanica della mente, una nuova grammatica. Lo scrittore chiama questo fenomeno mutazione, trattandosi di “nuovi umani” che, senza spiegazioni apparenti, e secondo dinamiche spesso incomprensibili, si presentano differenti in alcuni elementi costitutivi del loro essere umani. Dunque non nuovi, ma differenti.

Così quando noi ci confrontiamo con “i nuovi umani”, ne rimaniamo contagiati, e diventiamo di conseguenza differenti. Finendo poi con il ragionare secondo regole di grammatica differenti, ed a prescindere dal nostro eventuale ruolo di grandi conservatori e difensori della civiltà tradizionale.

L’umanità diviene così differente,
- dato che in essa si scontrano superficialità contro profondità (i nuovi umani sembrano infatti cercare e raggiungere il senso delle cose attraverso la velocità, la dinamicità, e la superficie, invece che con la permanenza, la concentrazione, la lentezza, la profondità. E così genialmente sdoganando quella categoria di soggetti che per secoli è stata sinonimo di imbecillità: i superficiali, ovvero quei soggetti che della superficialità hanno fatto una bandiera e la loro ragione di vita);

- dato che essa acquisisce una idea completamente nuova della frontiera fra naturale e artificiale, reale e virtuale;

- e dato che differente è la sua idea di cosa sia l’esperienza. Dato che l’esperienza (erotica, sentimentale, di comunicazione, etc.) che gli umani fanno con gli altri umani, con tutti gli strumenti che abbiamo oggi, è esperienza. E dato che se l’esperienza è il rapporto fra l’uomo e l’altro uomo, volendo tradurre il concetto in una sola parola, può dirsi che l’esperienza è quel fattore che produce senso. 

Da quanto precede deriverebbe dunque che l’idea che dall’illuminismo ad oggi noi abbiamo avuto di cosa sia l’esperienza, sta franando in ogni singolo umano di questa umanità differente che noi lasciamo accedere ai consumi, alle informazioni, ai privilegi. Il singolo umano di questa umanità differente sarebbe quindi portatore di un DNA differente nel pensare cosa sia esperienza, ovvero, nell’elaborazione del concetto di esperienza.

Dobbiamo dunque porci la domanda che cosa è per noi l’esperienza, anche se quanto qui precede sopra potrebbe indurci a pensare che ci stiamo allontanando dal tema centrale di queste parole, “Il cuore cede quando si deve separare dai sogni”.

Ma così non è. Dato che, se nell’ottica precedente il presente non è il momento prodromico dello sviluppo del futuro, e dunque il futuro non esiste come sviluppo del presente, ovvero è una icona del tutto autonoma ed indipendente da un’idea di futuro, il futuro non costituisce più evoluzione e sviluppo del presente, ma finisce invece con il divenire distruzione del presente. E cioè, poiché il cuore è esclusivamente focalizzato sul presente, al momento in cui si separa dai sogni, finisce con l’accusare una cesura con quello che noi desidereremmo o vorremmo di positivo dal domani.

In questo quadro, dove i principi ed i valori su cui il nostro presente è costruito vengono smantellati e sostituiti da una grammatica mentale diversa, secondo Baricco lì oggi vedremmo fisicamente la presenza del futuro, dato che altrimenti è il nuovo che però, come detto, futuro non è.

 Spostando l’attenzione sugli smantellatori del presente, e cioè sui nuovi umani che con il loro arrivo ci hanno costretto ad applicare una grammatica mentale diversa, lo scrittore chiama questi ultimi, o gran parte di questi ultimi, “selvaggi di genio”; soggetti che però, proprio in funzione del loro essere selvaggi, non sono affatto raffinati intellettuali di grande acume. Il futuro così, essendo un gesto di strappo, un gesto traumatico, sarebbe un momento forse molto affascinante, forse seducente, ma per noi non certamente qualcosa di tranquillizzante.

Cosa dunque succede nell’incontro/scontro, ovvero nel confronto, fra noi ed i selvaggi di genio? Dato che, da un lato ci saremmo noi che rimaniamo fedeli a un impianto di valori e di principi che sono il DNA della nostra mente, che sono una tecnica del pensiero, e che sono un’idea di esperienza, che è quella che abbiamo ereditato da duecento anni di storia, in una situazione che non prevede il futuro; e dall’altro lato ci sarebbero i selvaggi di genio per cui la scelta del futuro è una scelta distruttrice, e per cui il futuro si costruisce distruggendo il presente, e non sviluppandolo con intelligenza.

Baricco continua avvertendo gli eredi dei duecento anni di storia che noi accederemo al futuro soltanto rendendoci disponibili a un cambio della grammatica del nostro pensiero; e che in questo passaggio fondamentale, pur nel momento della distruzione, potremo salvarci solo se avremo la capacità di conservare del presente e del passato l’immenso patrimonio che ancor oggi è possibile vedere e toccare con mano.

In un momento come questo, dunque quale la conclusione?
Secondo Baricco, mentre i selvaggi di genio portano un nuovo DNA, portano un nuova idea di esperienza, una nuova grammatica, dove sarò io? E quale sarà il mio compito? Dove saremo noi? E quale sarà il nostro compito?

E secondo noi? Quale sarà il nostro compito? O il compito di quelli intorno a noi? E dunque, come salvaguardare il cuore senza separarlo dai sogni, e cioè da quello che noi desidereremmo o vorremmo di positivo dal domani?

Baricco, muovendo dalla narrazione, di cui è maestro, e di cui ben conosce la meccanica, ritiene che il modo a noi più confacente, più vicino e produttivo al nostro compito, a quello che noi dovremmo fare, è riscrivere il mondo con la grammatica di quelli che lo hanno distrutto, quasi riproponendo il gesto paziente dell’amanuense.

 Dunque, non perdere il mondo che c’è, ma ridescriverlo in ogni suo particolare nella lingua del futuro. Ed anche se non saremo capaci di riscriverlo con la grammatica dei selvaggi di genio, di cui anche noi alla fine saremo parte, e che dunque siamo anche noi, con la grammatica che noi sentiamo crescere in noi, alla fine, naturalmente, il futuro accadrà, ancorché potrà essere traumatico, ed ancorché potrà anche eventualmente comportare una grande e collettiva perdita. Questo il compito di chi, rimanendone affascinato, vuole accettare questa idea di futuro: tradurre l’esercizio quotidiano dell’intelligenza nel gesto di riscrittura del mondo. 

Ovvero, riscrivere ogni angolo di mondo che ci sembra il caso di non perdere per strada, con quella grammatica differente che apprendiamo quotidianamente, con quella lingua differente prodotta dalla mutazione che viviamo a contatto con i selvaggi di genio di questa mutazione, e con quella mente differente che il contatto con i selvaggi di genio ci ha fatto acquisire.

Ora se è chiaro che Baricco nella sua ottica di attento narratore teorizzi la figura dell’amanuense, che è la figura a lui più congeniale; e se però è vero che anche il medico indiano Chopra(6)aveva già osservato “l’utilità di scrivere il più in fretta possibile, senza interruzione, tutte le parole che fluiscono rapide in noi, fermandole su carta”(7); vero è pure che corretto è il pensare che il sistema di pensiero dei barbari sopprime il luogo e il mito della profondità(8). Perché nel barbaro non c’è spazio per il cuore e per la profondità del cuore; e perché senza cuore non possono esserci sogni, e dunque quello che noi desidereremmo o vorremmo di positivo dal domani.


Ma lo scritto può a noi bastare  per entrare nel futuro senza perdere il presente? Il problema è dunque come salvare il cuore ed i nostri sogni. Certo per il colto Baricco è facile privilegiare l’amanuense; ma l’amanuense, per sua natura, è un estrapolato dalla realtà quotidiana proprio per essere stato inizialmente uno schiavo, ed alla fine una figura comunque dotta (basti pensare a quanti sapevano leggere e scrivere correntemente e correttamente, dopo la diffusione del cristianesimo, all’epoca (XII/XIII secolo) degli amanuensi)(9).

Dobbiamo trovare dunque una strada contemporaneamente comune e diversa che, in una ottica di futuro, nel farci ritrovare il cuore, non ci separi dai nostri sogni, e cioè da quello che noi desidereremmo o vorremmo di positivo dal domani.

Baricco, in una affascinante ideale mappa cubista del futuro, ci invita a portare in un giardino, ad esempio, un biologo, un geografo, uno storico, un musicista, un cieco, un sordo, e chieder ad ognuno di loro cosa vedono.

E secondo lo scrittore solo una risposta sostanzialmente univoca può essere la traccia da seguire verso il futuro, il ruolo dell’amanuense non basta: se infatti è vero che la vita è essenzialmente un percorso teso ad accumulare esperienze e passaggi evolutivi, da qualsiasi lato si voglia analizzare il problema, o da qualsivoglia ottica (biologo, geografo, storico, musicista, cieco, sordo, etc.) lo si guardi, non è dubbio che tutti ci muoviamo da un unico minimo comun denominatore, il cuore.
Minimo comun denominatore dal quale tutti insieme, ancorché ognuno per proprio conto, dobbiamo partire.

Ed allora invece di arretrare in difesa assumendo il ruolo degli amanuensi, introduciamo il concetto di pensiero, di testa; concetto dove la ragione assume un aspetto primario, e ci porta a pensare, magari anche contro l’apparente evidenza, che il futuro è adesso. Non dunque quel futuro che è adesso propagandato e sbandierato troppo spesso da politicanti dei più diversi spessori, ma quel futuro che ci riporta verso di noi, che commercialmente ed economicamente ci riporta all’autoproduzione, che è la nuova autarchia del cittadino europeo e americano nel XXI secolo, e che è la soluzione all'impoverimento vergognoso che ci sta colpendo. La scelta della condizione di autarchia individuale: ciascuno è padrone di se stesso.

 Scegliendo di partire dal proprio cuore! E dunque introducendo il concetto che “Esistere significa poter scegliere”come diceva il filosofo danese Søren Kierkegaard(10). Scegliere quel cuore che è l’unico punto di partenza in grado di salvaguardare i nostri sogni. Scegliere quel cuore che è l’unica vera realtà, indipendentemente dalle teorie dei pensatori tedeschi del XIX secolo Carl Marx(11), Arthur Schopenhauer(12 , e Friedrich Nietzsche(13).

Ma, senza voler entrare in dispute di carattere filosofico, arriviamo alla conclusione anche noi: dal cuore promanano i nostri sogni, e sono dunque i pensieri dei nostri cuori che dovrebbero esser rivelati. E cioè i nostri sogni. Nella generale caratteristica tipica degli umani, la curiosità, a prescindere che poi seguìta o meno, ci obbliga a guardare, e, cosa strana, nel guardare finiamo con il vederci come in uno specchio. Le due figure dell’uomo che guarda e dell’uomo riflesso allo specchio, in filosofia viene chiamata contraddizione. Qui si preferisce invece chiamarla duplicità.

La duplicità, quando si presenta a un uomo – se si riesce a indurlo a guardare – è figurativamente uno specchio; dove un uomo guarda, ed uno giudica. E dove mentre l’uomo che giudica, per poter giudicare, necessita che si rivelino i pensieri che abitano in lui. Il tutto diviene così un enigma, dato che mentre l’uomo cerca di risolvere il predetto enigma, si manifestano i pensieri che abitano in lui, e la scelta sul modo di risolvere l’enigma.
La risoluzione di detto enigma esige poi una scelta, e nell’atto di scegliere, e nella cosa prescelta, l’essere umano rivela se stesso partendo dal cuore.

Ovvero, e per dirla come Chopra(14 , partendo dalla creazione che ognuno compie, rendendosi alla fine conto che “in qualità di creatori siamo in grado di dare vita ad ogni aspetto positivo o negativo delle nostre esperienze”, dare spazio a tutto quello che alla fine diviene per noi liberatorio: il sogno di quello che noi desidereremmo o vorremmo di positivo dal domani. Tutelando così i nostri sogni, senza poterli e/o doverli mai scindere dal nostro cuore. Pena il cedimento del nostro cuore; e, con il cedimento del nostro cuore, pena la perdita della nostra vita.
Tenendo però pure ben presente quanto ancora insegna Chopra(15) , e cioè, che il nostro mondo è strettamente materiale; che il mondo materiale e pieno di cose, eventi e persone; e che dunque per scoprire chi sono, devo esplorare il mondo materiale.

Mondo materiale che però la scienza moderna non è ancora riuscita a dimostrare che è reale. Tant’è che secondo questo schema bisognerebbe ricorrere più al cervello che al cuore, a fronte però dei neurologi i quali affermano che il cervello non offre alcuna prova circa la concreta esistenza del mondo esterno, e che dunque le percezioni del cervello non sono collegate con il mondo materiale. Non esistendo infatti alcuna connessione diretta tra i dati raccolti dal nostro corpo e la nostra percezione individuale della realtà oggettiva.

Con la conclusione che l'intero universo, e cioè il mondo esterno, potrebbe essere una visione onirica, un sogno nel quale i nostri sogni fanno parte come di un sogno nel sogno, sganciati dal nostro cervello che registra soltanto una tempesta di attività elettrochimica della corteccia cerebrale. E che ci consente di arrivare soltanto a quella soluzione che è poi il vero segreto spirituale del problema: noi non siamo nel mondo, ma il mondo è dentro di noi(16).

E riportando dunque il tutto al suo punto di partenza: il cuore. 

Cuore che può reggere soltanto insieme ai suoi sogni, e dunque ai nostri sogni, che per nessuna ragione possono essere separati dal cuore, dal nostro cuore.
D.S.


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NOTE :
(1) Girato nel 1987, ebbe a conquistare nel 1988, tra l’altro, nove premi Oscar e nove premi di Donatello. Dato che regista non cinese, l’italiano Bernardo Bertolucci ((1941) regista, sceneggiatore e produttore cinematografico) ebbe il rarissimo permesso di poter girare il film per sei mesi sui luoghi dei fatti che racconta, ovvero nella Città proibita.
(2) Aisin Gioro Pu Yi, (1906-1967), e cioè l’ultimo imperatore cinese che,incoronato nel 1908 a 2 anni, regnò fino al 1912. Visse in un perenne isolamento di fatto a dispetto della sua grande mitezza. Ostaggio degli interessi giapponesi, regnò sullo stato fantoccio della Manciuria (Imperatore del Manchukuo) dal 1934 al 1945, e cioè sino a quando il Giappone fu sconfitto alla fine della seconda guerra mondiale. Recluso prima dai sovietici e poi dai cinesi perché considerato criminale di guerra pur senza aver commesso alcunché, dopo che “rieducato”, venne liberato nel 1959, e fece, prima il funzionario del comitato per la collezione e la classificazione del materiale storico, e poi il giardiniere. Dopo che liberato scrisse pure l’autobiografia “La prima metà della mia vita”, libro poi tradotto in Italia con il titolo “Sono stato imperatore” (Bompiani, Milano, 1987), e da cui è stato tratto il film. Morì come un semplice ed oscuro pensionato.
(3) Domenico Quirico, “Gli ultimi ”, Neri Pozza Editore, Vicenza, 2013, pagg. 61 e segg..  Quirico è il giornalista e saggista italiano che mentre si trovava in Siria come inviato di guerra, dal 9 aprile 2013 si è persa ogni traccia, ancorchè, per quello che oggi si sa, il Ministero degli Esteri italiano ha reso noto che Quirico è ancora vivo. Reporter per il quotidiano torinese La Stampa, oltre ad essere inviato di guerra, per il predetto quotidiano è caposervizio esteri e corrispondente da Parigi. 
(4) Domenico Quirico, “Gli ultimi ”, cit., pag. 71.
(5) Don Giuseppe Tomasi e Mastrogiovanni Tasca, 12º duca di Palma, 11º principe di Lampedusa, barone di Montechiaro, barone della Torretta, Grande di Spagna di prima classe (18961957). Scrittore e letterato siciliano, scrisse, fra l’altro, “Il Gattopardo” fra il 1952 ed il 1954, romanzo storico che fu poi pubblicato postumo nel 1958 dalla Casa Editrice Feltrinelli.
(6) Deepak Chopra ((1946), medico e scrittore indiano, autore di saggi "New Age". Già leader del movimento della meditazione trascendentale, abbandonatala, nel 1993ha creato una tecnica alternativa chiamata meditazione del suono primordiale.Oggi vive e lavora negli Stati Uniti, ed il suo nome e la sua fama mondiale sono legati alla riscoperta della medicina Ayurvedica, che è la più antica terapia curativa e preventiva indiana (Ayur-Veda è un termine sanscrito la cui traduzione letterale significa molto semplicemente ''Scienza della Vita''). Il magazine “Times” ha incluso DeepakChopra nelle lista delle 100 personalità più importanti del secolo e lo accredita come “il poeta-profeta della medicina alternativa”.La rivista Esquirelo ha inserito tra i 10 migliori consulenti motivazionali degli Stati Uniti, ed in Italia è stato premiato con la medaglia d'oro della Presidenza della Repubblica al convegno organizzato dal Centro Pio Manzù, presieduto da Mikhail Gorbachev. Premiato alla Toastmasters International per l'eccellenza della comunicazione e della leadership insieme ad altre 5 personalità, tra cui il Padre del Sudafrica Nelson Mandela, insieme all’allora Presidente del Costa Rica Laureates Oscar Arias Premio Nobel per la Pace (1987), Chopra è uno dei fondatori della Alliance for the New Humanity che ha lo scopo di creare una coscienza collettiva per la giustizia sociale, l’equilibrio ecologico e la risoluzione dei conflitti. Tra i suoi scritti più noti: “Le 7 leggi spirituali del successo”, “La Pace è la Via”, “L'anima del vero leader”, “La via della prosperità”, “Il Potere, la Libertà e la Grazia”, e “La mia via al Benessere”.
(7) Deepak Chopra, La dimensione interiore, edizione italiana, Sperling & Kupfer Editori, Milano,2005, pag. 154
(8) Alessandro Baricco, lettera ad Eugenio Scalfari, in http://www.pixel-age.com/home/index.php?option=com_content&view=article&id=13& Itemid=118
(9) Nell'antichità classica la professione di amanuense era esercitata dagli schiavi. La parola amanuense deriva infatti dal latino servus a manu, che era il termine con il quale i romani definivano gli scribi.
(10) Søren Aabye Kierkegaard (1813-1855), filosofo teologo e scrittore danese. Fra i suoi scritti più noti, Stadi sul cammino della vita (StadierpaaLivetsvei [HilariusBogbinder - William Afham - l'Assessore - FraterTaciturnus], 1845), tr. Ludovica Koch, Rizzoli, Milano 1993, ed. parziale.per ulteriori approfondimenti, si cfr.no: Dalle carte di uno ancora in vita ed edite contro il suo volere, Søren Kierkegaard, Stadio sul cammino della vita – Colpevole non colpevole? Una storia di passione – Esperimento psicologico di Frater Taciturnus, Copenaghen, 1938, stampato da Bianco Luno e dal 21/05/2013 in http://kierkegard.wordpress.com; e, a cura dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Antonio Gargano, Søren Kierkegaard (1813-1855), in http://www.iisf.it/scuola/kierkegaard/kierkegaard.htm.
(11) Carl Heinrich Marx(1818-1883), filosofo, economista, storico, sociologo e giornalista. La sua opera più nota è “Il Capitale” (“DasKapital”), base dell’ideologia marxista, opera in quattro volumi pubblicata fra il 1867 ed il 1910, e di cui il secondo e il terzo pubblicati rispettivamente nel 1885 e nel 1894 a cura di Friedrich Engels ((1820–1895) economista, filosofo e politicotedesco, fondatore con Marx del materialismo storico e del materialismo dialettico), ed il quarto pubblicato pubblicato successivamente da Karl Kautsky ((1854-1938) politico e teorico marxistatedesco. Fu uno dei principali ispiratori del Partito Socialdemocratico Tedesco (SPD) sulle posizioni ortodosse e rivoluzionarie di Marx, ancorché poi entrato in posizioni di scontro con gli eredi del marxismo dopo la rivoluzione russa. Inoltre, fu l'editore del quarto volume dell'opera di Karl Marx,“Il Capitale”). Per l’edizione italiana, a cura e traduzione di Delio Cantimori, Karl Marx, Il Capitale. Critica dell'Economia Politica, Editori Riuniti, Roma, 1964.
(12) Arthur Shopenhauer (1788–1860) filosofo, ed eclettico aforista tedesco. Unanimemente considerato un irriducibile misantropo, la sua filosofia, articolata in precisi ragionamenti e aforismi caustici, recupera alcuni elementi dell'illuminismo, di Platone, del romanticismo e del kantismo, fondendoli con la suggestione esercitata dalle dottrine orientali, specialmente quella buddhista e induista, creando una sua originale concezione basata su un radicale pessimismo, la quale ebbe una straordinaria influenza, a volte anche rielaborata completamente, sui filosofi successivi, ad esempio su Friedrich Nietzsche e, in generale sulla cultura europea contemporanea e successiva, inserendosi nella corrente della filosofia della vita. Frequentò corsi di fisica, matematica, chimica, magnetismo, anatomia, fisiologia, e tanti altri ancora). Tra le sue opere più note, Il mondo come volontà e rappresentazione (titolo originale: Die WeltalsWille und Vorstellung, 1818), pubblicato nell’edizione italiana (Newton Compton Editori, Roma, 2011) con introduzione di Marcella D'Abbiero e traduzione di Gian Carlo Giani.
(13) Friedrich Wilhelm Nietzsche ((18441900) filosofo, poeta, saggista, compositore e filologotedesco. Fra le sue opere più note, Alsosprach Zarathustra, (Così parlo Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno), 1885; Jenseits von Gut und Böse, (Al di là del bene e del male. Preludio di una filosofia dell'avvenire), 1886; Ecce Homo, (Ecce Homo. Come si diventa ciò che si è), 1888; e l’Epistolario 1850-1889, pubblicato nell’edizione italiana (Adelphi) tra il 1976 ed il 2011. Viene accomunato a Søren Kierkegaard avendo entrambi un orientamento prettamente esistenziale ed essendo entrambi considerati precursori dell'esistenzialismo novecentesco.
(14) Deepak Chopra, La dimensione interiore, cit., passim.
(15) Deepak Chopra, La dimensione interiore, cit., pagg. 16 e segg..
(16) Deepak Chopra, La dimensione interiore, pag. 18.

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