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martedì 14 maggio 2013

La necessità di essere consapevolmente consapevoli “Mentre il tempo passa” e “Dopo che il tempo passa”:


La cosidetta onestà intellettuale prevede e vuole che quando si affronta un problema, o un “tema” come oggi più spesso si sente dire, si ascoltino e/o si analizzino e/o si prendano in esame anche idee diverse da quelle che ognuno ha, o idee teoricamente comunemente acclarate come scontate. Non si tratta, come alcuni soloni superficialmente potrebbero affermare, di mascherare il revisionismo (concetto peraltro di per sé non negativo) con l’onestà intellettuale. Ma si tratta soltanto ed esclusivamente di in ogni caso aggiungere continuamente ulteriori riflessioni, che, sia chiaro, sono sempre utili quando si affrontano fatti che dovrebbero essere di generale e comune interesse. Ben a prescindere da quello che ognuno di noi professa come propria convinzione. 
E del resto, deve essere chiarissimo che solo chi ha paura che quel che potrebbe emergere avrebbe la possibilità di generare crisi e/o insicurezze su certezze troppo spesso fondate su presupposti errati, può aver paura di sempre ulteriori riflessioni.
Quale che sia il campo nel quale si articolano le ulteriori riflessioni.

Detto questo, e sulla falsariga de “Mentre il tempo passa”, va osservato come un pur contestato personaggio, l’americana Jasmuheen, nel 2000, aveva già osservato come la Guida Spirituale Chris Griscom, fondatrice e docente del Light Institute in Galisteo (Nuovo Messico), probabilmente la “principale autorità mondiale in tema di reincarnazione”, i cui servizi umanitari ed il cui contributo alla salute ed all’educazione olistica erano stati riconosciuti con il “Sewa Chakra Award” (prima conferito pure a Madre Teresa di Calcutta, al Dalai Lama, all’ex Primo Ministro d’India Morarji Desai, ed al Prof. Robert Muller Rettore dell’Università della Pace delle Nazioni Unite) nel suo libro “Time is an illusion” (1986), rilevava come “atteggiamento e comprensione   non controllano il corpo emotivo!”. 

Se dunque è pur vero che “è il corpo emotivo che determina la nostra esistenza ad ogni livello di consapevolezza sul pianeta terra”, Griscom rilevava tuttavia che il predetto “corpo emotivo”  non si è aggiornato “nel suo sviluppo consapevole”. E secondo la Griscom “la ragione sta nel fatto che l’emozionalità appartiene energeticamente alla dimensione astrale, la quale esiste fuori dalla realtà influenzata dal tempo.”. Con la conseguenza che, “ignaro del fatto che < il tempo passa >, il corpo emotivo rivisita” e/“o riassembla incessantemente le nostre componenti emotive secondo un suo proprio schema.
- Dato che, “Poiché noi stessi ci siamo talmente identificati con il nostro corpo mentale, siamo proni all’illusione di influenzare e dirigere il corpo emotivo con la nostra volontà consapevole”;

- dato che poiché “la consapevolezza inerente ogni nostro < nuovo > corpo fisico non dipende dal suo stesso veicolo materiale”, ma dal fatto che “le impronte < attaccaticce > del corpo emotivo semplicemente rivisitano se stesse attraverso tutte le incarnazioni.”;
- e dato che “Il < vecchio > corpo emotivo porta nel < nuovo > corpo fisico tutte quelle esperienze, reazioni, e percezioni della realtà che ha ricevuto in altri corpi fisici”.

Il problema a questo punto si sposta, e diviene quello di liberare il < vecchio > corpo emotivo da tutte quelle esperienze, reazioni, e percezioni della realtà che ha ricevuto in altri corpi fisici”, al momento del suo ingresso nel < nuovo > corpo fisico.
 Ovvero, trarre lo spunto per liberarci dei problemi passati, risolvendoli; e così lasciar andare le energie pesanti del passato. Dato che, come anche la Jasmuheen fa derivare dalla Prof.ssa Griscom, “Le memorie o le strutture cellulari spesso stanno alla base dei blocchi della nostra vita attuale”; e dato che i predetti “blocchi energetici sono nati a causa delle nostre emozioni irrisolte del passato, e sono il diretto risultato della nostra modalità di percezione e di comprensione mentale di un evento in quel dato momento”. Dunque anche  < mentre il tempo passa >.

E come è possibile la trasformazione di cui prima abbiamo parlato? “Con la nostra consapevolezza! Che ci permette di vedere la vita retrospettivamente”, ma con un’orizzonte evidentemente più vasto.

Dunque: la chiave di lettura diviene la consapevolezza, o, se si preferisce, l’acquisizione della consapevolezza.

Deepak Chopra nel suo scritto (Unconditional life (1992)) offre una soluzione per poter pervenire all’acquisizione della consapevolezza, e questo partendo dalle cause dei nostri blocchi. “Poiché siamo prigionieri dei nostri pensieri, … la mente condizionata lascia poco spazio per qualcosa di nuovo”. Ne deriva che la mente condizionata diviene una prigione, della quale finiamo con il non vedere l’inizio e la fine (e cioè il suo perimetro), e nella quale, di conseguenza, possiamo solo soffrire sempre più, almeno finché non se ne trova il modo di venirne fuori.
Ma partendo da che cosa? Dal principio per cui ogni pensiero è portatore di energie che cumula in sé; che è dunque necessario vigilare e controllare rigorosamente su ogni pensiero che ci coinvolge; che il campo energetico di un pensiero positivo viene subito neutralizzato ove seguito da un pensiero non positivo o pesante; e che dunque quando ci sentiamo presi da un pensiero non positivo o pesante, dobbiamo subito farlo seguire da un pensiero positivo o leggero, e così “osservare come cambia la nostra realtà.”.

E la predetta operazione, ancorché non sempre facile, è tuttavia normalmente possibile e fattibile? Chopra, muovendo dal presupposto che “non siamo < vittime > delle nostre emozioni”, sposta l’attenzione al rapporto causa-effetto, dove le emozioni sono l’effetto, e dove la causa è la percezione che provoca l’emozione.

Sono dunque le “emozioni forti ed irrisolte che si accumulano nel corpo che creano dei blocchi, ed impediscono il” normale “fluire dell’energia libera attraverso i sistemi energetici del corpo.”. Cosicché, soltanto “scegliendo di concentrarci sugli aspetti positivi della vita,”, e dunque orientando il nostro < pensiero positivo >,” possiamo ottenere “in base alle leggi sull’energia, che ogni cosa sulla quale ci focalizziamo cresca”. 

Dunque in una ottica catartica, dove il pensiero non positivo o pesante viene da noi imperativamente rimosso e abbandonato: ma non accantonandolo; bensì accompagnandolo ad uscire dal nostro sentire, in modo che sia la nostra cosciente volontà a far sì che detto accompagnamento coatto divenga profondamente sentito e proprio di ciascuno di noi. Tant’è che nel suo “La dimensione interiore” (edizione italiana 2004), Chopra spiega che se ci “si lascia sopraffare dal tormento”, e dunque da pensieri pesanti, “in pratica viene annullata la capacità di ognuno di scegliere”, dato che quelle energie pesanti che Chopra chiama “ombre”, “riescono ad accrescere un potere nascosto che”, alla fine, “priva il soggetto del suo libero arbitrio.”, pur nella obiettiva evidenza che “la nostra anima è alla continua ricerca di nuove vie per raggiungere la luce.”.

In verità, potrebbe sembrare che tutto quanto precede sia troppo filosofico e/o astruso, e comunque astratto. Ma in realtà così non è! Dato che ognuno di noi deve invece entrare nell’ordine di idee che non può esserci “libero arbitrio” se non c’è consapevolezza. E che dunque tutto gira attorno alla consapevolezza ed al raggiungimento di questa.

Per semplificare il concetto, provate ad immaginare: se un soggetto è emotivo e/o ha comunque problemi emozionali non risolti, i limiti di detti problemi emozionali influiscono, talvolta anche gravemente, sui suoi comportamenti.

Detto questo, e dato che i predetti problemi emozionali si evidenziano nei comportamenti attraverso l’istinto, alla fine l’istinto, in uno stato di non consapevolezza, prevale sulla ragione. Ed il prevalere dell’istinto sulla ragione, fa sì che un soggetto, spinto dai suoi problemi emozionali, nei suoi comportamenti, alla fine è costretto a reagire piuttosto che ad agire. Proprio per mancanza di consapevolezza. In uno stato di rapporti dove vittima e carnefice si sostanziano in un tutt’uno; e dove vittima e carnefice sono una persona sola; dato che, per il gioco delle parti, il carnefice ha necessità di una vittima, e dove la vittima non può fare a meno di cercare il suo carnefice. E dato che, in mancanza, non potrebbero esistere il ruolo del carnefice e quello della vittima.

La stessa situazione si crea quando i limiti comportamentali provengono dal pensiero non positivo o pesante, dato che i predetti limiti comportamentali possono eventualmente anche sfociare in reazioni pure gravi, ove derivanti da senso dell’abbandono, da senso di inadeguatezza, dalla mancanza di cultura, non accompagnati dalla necessaria consapevolezza del proprio stato fisico e/o psichico e/o mentale e/o emotivo.

Dalla necessità di acquisire la dovuta consapevolezza di ciò che ciascuno di noi è, deriva appunto che ognuno di noi è creatore di sé stesso, e del proprio io non dominato dall’istinto. Con la conseguenza che l’acquisizione della consapevolezza permette la gestione del sé e dunque di se stessi. E permette di uscire, attraverso le vie più diverse, da quel percorso obbligato che è il rapporto carnefice/vittima, dove come si dice, e non è un caso, < Il sonno della ragione genera mostri >>! Ovvero, quelle che alla fine della fiera, Chopra chiama “ombre”.
Quale dunque la conclusione? Come detto sopra, con l’acquisizione della consapevolezza, e la conseguente consapevolezza che deriva dalla cosidetta 

“ < meditazione dell’ombra >,”
- noi non soltanto chiediamo”, rectius: imponiamo, “all’ombra stessa di iniziare a lasciar andare.” E dunque di dissolversi,
- ma pure consentiamo a noi stessi di assaporare qualunque emozione si affacci alla soglia della nostra consapevolezza.
Operazione che alla fine ci porta ad una consapevolezza talmente automatica che ci rende sostanzialmente, e di fatto, inconsapevolmente consapevoli.   

Certo, la predetta operazione è una Impresa  sicuramente certamente “complessa”; ma certo è pure che è tutt’altro che impossibile, dato che, “per quanto l’ombra”, possa “essere strettamente connessa alla nostra quotidianità”, anche in modo estremo, la predetta “ombra” “non è mai così ben celata da riuscire a rimanere lontana dalla luce” che si irradia dalla nostra finalmente acquisita consapevolezza. O se si preferisce, dalla nostra ormai finalmente acquisita inconsapevole consapevolezza.

Dunque, anche < mentre il tempo passa >, e < dopo che il tempo passa > !
D.S.

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