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giovedì 10 gennaio 2013

<< IL SILENZIO >>




Si ritiene comunemente che il silenzio, per essere tale, coincida con uno stato di esenzione da qualsiasi parola o rumore, ma questo non è vero. 

Infatti, al contrario di quel che si pensa, anche il silenzio può essere assordante: non per nulla nel modo di dire napoletano ci si rivolge talvolta a chi ascolta, avvertendolo di non parlare. Tanto il suo pensiero si sente lo stesso.
Mentre nella tradizione pugliese si dice che “una parola è poca e due sono troppe”, nella tradizione italiana si dice che “la parola è d’argento, e il silenzio è d’oro”.

Ma cos’è veramente il silenzio?
Viene dunque in rilievo il valore del silenzio, ovvero la domanda che cosa c’è dietro il mero silenzio?
Nella tradizione cattolica, il valore del silenzio viene fatto più o meno erroneamente generalmente coincidere, o con il principio del “Porgi l’altra guancia!”, o con la regola benedettina dell’ “Ora et Labora”. Ma i predetti concetti sono indistinti, non equiparabili, e affatto coincidenti, dato che il principio del “Porgi l’altra guancia!” attiene ad un sistema di vita, mentre la regola benedettina dell’ “Ora et Labora” riguarda il momento del rapporto con il metafisico ed il trascendente. 


Prova ne è che nella tradizione cattolica infatti, non viene ad esempio spiegato se la mancata risposta ad un torto debba essere silenziosa o meno; ovvero se il fatto di orare, e cioè di pregare, debba essere un fatto intimistico privato e silenzioso o meno.

Molto meglio ed in generale, invece, ancorarsi a dati certi, per cui può dirsi, secondo tutte le grandi religioni monoteistiche del mondo, che la preghiera del singolo è certamente un fatto intimistico privato e silenzioso, mentre la preghiera di gruppo, intesa come lode al Trascendente, è in generale non silenziosa.

In realtà, per quel che qui interessa, il valore del silenzio attiene ad un'intima ricerca che ciascuno compie con la parte più profonda del proprio io, raccogliendo tutte le sue forze al fine di trovare quello stato di concentrazione che lo pone in una dimensione quanto più diretta  possibile con il proprio sé ed eventualmente con il Trascendente. E dunque in una veste, che rende il silenzioso unico ed inattaccabile.

La dimostrazione deriva dal fatto che, se per un verso la preghiera viene intesa come una dinamica singola e collettiva nella quale ciascuno interpreta la sua parte nel rapporto con sé stesso e/o con l’aldilà, in realtà la preghiera più vera è quella in cui ognuno esprime il proprio essere e la propria spiritualità in un ambito del tutto personale e silenzioso. Si pensi, ad esempio, a tutto quello che sta nel silenzio della meditazione, o nel silenzio della pace. Dove il silenzio non costituisce più carenza, ma momento di costruzione all’interno di una diversa forma di spiritualità, anche alla ricerca di una maggiore consapevolezza di sé stessi. 
                                                                                          . 
Attenzione, però. Sostenere che il silenzio è una forma di spiritualità non deve portare a confondere silenzio e meditazione, dato che i due predetti termini sono ben distinti, e dato che la meditazione può costituire parte del silenzio, ma mai l’intero. Quando si parla di meditazione, si definisce infatti uno stato della coscienza che può essere ottenuto, o mediante l'indirizzamento volontario della nostra attenzione verso un determinato oggetto (meditazione riflessiva), o mediante la completa assenza di pensieri (meditazione recettiva = contemplazione), che si manifesta con tipologie differenti a seconda che la meditazione sia oggetto di attenzione  e di esame delle religioni e delle filosofie orientali, del cristianesimo, dell’islamismo, etc.. 


Ma, se per un verso è vero che la meditazione compare inizialmente nelle Upaniad, le scritture sacre induiste compilate approssimativamente a partire dal VII secolo, dove il primo riferimento esplicito alla meditazione che sia giunto fino a noi viene indicato con il termine sanscrito dhyāna; e se per altro verso ancora è vero che la concezione latina della meditazione (dal latino meditatio, riflessione) consisteva nella generale pratica di concentrazione della mente su uno o più oggetti, immagini, pensieri (o talvolta su nessun oggetto) a scopo religioso, spirituale, filosofico o semplicemente di miglioramento delle proprie condizioni psicofisiche; non può dirsi che anteriormente al VII secolo, ovvero al primo riferimento esplicito alla meditazione, non esistesse il silenzio introspettivo rivolto alla migliore conoscenza di noi stessi. La vicenda del personale vissuto tradimento delle Tavole della Legge da parte di Mosè ne è ampia prova. 

 Cosicché, l’aver ben successivamente sommariamente ricompreso nella meditazione (nel senso latino del termine) un percorso religioso o spirituale, o filosofico con un percorso teso ad un miglioramento delle proprie condizioni psicofisiche, ha fatto sì che venissero erroneamente unificati e confusi i concetti di meditazione e di silenzio.



In realtà, però, è oggi ormai acclarato che esistono molti percorsi personali che non si rinvengono all'interno di una religione o una filosofia, ma di cui il silenzio, ed all’interno di questo la meditazione, è uno strumento indispensabile per approfondire i lati oscuri di noi stessi. E infatti molti si avvalgono di un maestro di passaggio, "padre"/"madre", che permette loro di fare un cammino, un percorso, che attraversa nuove realtà e che si lascia alle spalle vecchi mondi, in un procedere verso una sempre maggiore consapevolezza di se stessi e della realtà, anche in una ottica riduzione della sofferenza. Tant’è che già da oltre 25 secoli la meditazione del Buddha storico o Gautama Buddha (Siddhartha Gautama, 566 a.C.-486a.C.), come di altri saggi o illuminati che successivamente ne seguirono il pensiero, non era ascritta a nessuna religione o filosofia, ma seguiva un cammino personale.
Tralasciandosi in questa sede:   
                                                                      .                                                                            - l’analisi degli studi scientifici che, all’incirca dal 1970,  hanno evidenziato l’efficacia del silenzio assistito, e dunque della meditazione assistita, nella diminuzione di ansia e stress, e nel miglioramento della salute, nell’ambito dei percorsi personali rivolti alla migliore conoscenza di noi stessi, con tutti i componenti comuni a tutti i metodi meditativi (rilassamento, concentrazione, alterato stato di coscienza, sospensione dei processi di pensiero logico e razionale, presenza di una attitudine alla autocoscienza ed alla auto-osservazione, etc.); 

                                                . - i numerosissimi studi della comunità medica sugli effetti fisiologici della meditazione, e su come la meditazione Zen possa modificare le connessioni nervose del cervello; 

                                                                        - il recente (2007) studio scientifico americano che ha dimostrato i rilevanti effetti della meditazione sul miglioramento delle condizioni di vita, con la depressione che si attenua, con le difese immunitarie che si rinforzano, con la meditazione che abbassa i livelli di rabbia, ansia, depressione e fatica, e con la conclusione che nei processi mentali, la consapevolezza e l'attenzione sono aspetti della vita che possono essere esercitati, esattamente come accade per i muscoli

                                       . - le ormai scientificamente consolidate conseguenti acquisizioni sull’influenza del silenzio nella meditazione;

ne deriva che il silenzio diventa così una forma di dialogo interiore dove tutti hanno qualcosa da dire, non solo a sé stessi, ma pure al trascendente o al vicino. E detto dialogo perseguono pur senza profferir parola. Si provi ad immaginare quelle coppie serene di persone in cui le due parti della coppia, pur essendo vicine, e nonostante ciascuna impegnata ad attendere ai propri da fari, dialogano continuativamente nel silenzio di un rapporto che è comunque costruttivo. 
Tant’è che rilevava il giornalista ed intellettuale ungherese Sandor Marai (Sandor Kàroly Henrik Grossschmid de Màra, 1900-1989)    < Si può entrare in contatto con le persone anche senza parlare.[...] c'è un modo di entrare in contatto tra esseri umani più percettivo e affidabile della parola, fatto di sguardi, silenzi, gesti e messaggi ancora più sottili; è il modo in cui un essere umano nel suo intimo risponde al richiamo di un altro, quella silenziosa complicità che nel momento del pericolo dà alla muta domanda una risposta più inequivocabile di qualsiasi confessione o argomentazione, e il cui senso è semplicemente questo: io sono dalla tua parte, anch'io la penso così, condivido la tua preoccupazione, noi due siamo d'accordo...) >.


O si pensi ancora a coloro - due o più persone - che, nell’ambito del proprio dialogo, arrivati ad un certo punto si estraniano da questo abbandonandosi ai propri pensieri, per poi ritornare su questa terra come se nulla fosse (rilevava infatti il Mahatma Gandhi) < Il rumore non può imporsi sul rumore. Il silenzio sì. >). E dove l’essersi abbandonati ai propri pensieri non costituisce per nulla soluzione di continuità al dialogo con le persone che avevamo accanto. 
Deriva da quanto sopra che il silenzio non può e non deve intendersi come un momento di frattura con quello che ci circonda, ma deve invece essere interpretato come una specie di castello fortificato all’interno delle cui mura ognuno si ripara, protetto, e ritrova la propria strada e la propria conseguenzialità attraverso la riflessione sugli accadimenti che in qualche maniera lo hanno coinvolto.

Il silenzio, dunque, anche come riflessione, dato che, troppo spesso erroneamente, viene inteso come momento nel quale si può non pensare o nel quale non si ha niente da dire. E questo è tanto vero che taluni assimilano il silenzio come momento fondamentale per poter acquisire uno stato di particolare concentrazione o di stato prodromico al sonno.
Il silenzio, dunque, come momento fondante del nostro essere, nel quale un apporto alla riflessione ci viene dato da una serie di sollecitazioni esterne che appunto ci inducono alla riflessione, e che di questa fanno parte integrante.
La riflessione che diventa quindi, non soltanto un mezzo per attingere a quello che c’è dentro noi stessi, ma anche per comprendere quello che ci circonda e che noi finiamo per metabolizzare come nostro in quanto particolare nel generale.

Il silenzio.
Arma di difesa che ognuno di noi possiede quando, nell’impossibilità di sfogarci con le parole, non ci rimane che il nostro mondo personalissimo, all’interno del quale siamo assolutamente liberi e del tutto intangibili e inattaccabili.


Certo, il silenzio non deve mai costituire un momento nel quale continuare a rimuginare ossessivamente sui torti che abbiamo subito come fosse uno stato di masturbazione mentale dal quale è poi difficile venir fuori perché travolti da un pensiero costante e ripetitivo che finisce con il costituire un muro invalicabile alla nostra crescita. Tantè che il saggista e scrittore bulgaro, Premio Nobel per la letteratura nel 1981, Elias Canetti (1905-1994) rilevava che dall’interno del predetto stato ossessivo < Alcuni raggiungono la loro massima cattiveria nel silenzio. > (si pensi, ad esempio, agli stati di invidia e/o di rancore quando sono sordi, ciechi, e soprattutto silenziosi). Diversamente, invece, il silenzio deve costituire quel passo successivo ove talvolta condividere il contenuto del silenzio con coloro i quali nel silenzio parlano la nostra stessa lingua. 

E così, se non può e non deve essere minimamente dubbio che questo risultato lo si può ottenere soltanto nell’ambito di un processo che alla fine ci convince di una unità di prospettive e di intenti con chi ci circonda, la ricerca di adeguati compagni di viaggio finisce con l’essere legata ad un calcolo probabilistico, e dunque a quel gioco che fa parte degli imprevisti e probabilità della vita.
Dato che nella ovvia impossibilità di trovare qualcuno o qualcosa che sia perfettamente compatibile con noi, qualsivoglia conseguente calcolo deve essere sempre basato su un calcolo probabilistico che ognuno di noi compie sempre in silenzio.


In conclusione, dunque, il silenzio finisce col divenire un valore assoluto sul quale poterci appoggiare sempre, e soprattutto, maggiormente, nei momenti in cui dobbiamo tirar le fila di ogni nostra percezione. Se così noi italiani ci siamo in generale avvicinati al concetto di meditazione soltanto quando agli inizi degli anni 80’ il noto showman Renzo Arbore divenne il testimonial della birra italiana con lo spot “Meditate gente!; meditate!”,  circa un secolo prima, un uomo ancor oggi considerato al pari di un santo, il poeta filosofo e grande pensatore indiano Swami Vivekananda (Narendranath Dutta, 1863-1902), induista e profondo conoscitore delle religioni e del cristianesimo, scriveva <

Siediti ai bordi dell’aurora,
per te si leverà il sole.
Siediti ai bordi della notte,
per te scintilleranno le stelle.
Siediti ai bordi del torrente,
per te canterà l’usignolo.
Siediti ai bordi del silenzio,
Dio ti parlerà.
>.

Per capire te stesso, e forse anche per parlar meglio con Lui ……………….. !

D.S.


1 commento:

  1. interessante argomento, non credo alle coincidenze in questo momento sto preparando la tesi della mediazione familiare è uno dei capitoli che ho scelto è:il dialogo dei silenzi. Nella vita di coppia il silenzio non è vissuto come punto di riflessione, di raccoglimento con se stessi per poi... bensì come atteggiamento di chiusura, di non sapere cosa dirsi, di protesta, o ancora peggio usato come ricatto. in ogni caso secondo me importante mettere l'accento su questo significato dell'essere silenti. grazie

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