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giovedì 2 agosto 2012

Un corretto rapporto maestro-discepolo: la necessità del superamento delle cosiddette baronie di maestri, ed il loro ritorno nel ruolo di maestri di vita.

Ad oggi, la summa della mia esperienza personale


Dopo anni di percorso formativo, sono arrivata alla conclusione che, salvo pochissimi grandi maestri/formatori effettivamente congruenti, gli unici e veri maestri spirituali che la vita mi ha dato la fortuna di conoscere, alla fine sono gli Indiani d’America ed i Sacerdoti Andini. E questo deriva dal fatto che, i maestri che incontriamo sul nostro percorso, i quali troppo spesso si ritengono maestri per il solo fatto di averne un titolo, non comprendono che al fondo di un sano rapporto magister -> discipulus sta comunque il rapporto essenziale di una crescita comune e bilaterale. Tipologia di rapporto oggi apparentemente quasi perso e del tutto desueto.

Da quanto precede, la necessità di far dunque primario riferimento su noi stessi.

In realtà, il rapporto tra maestro e discepolo, non può essere e non deve essere soltanto un legame gerarchico o una relazione di dipendenza, come sovente è inteso nella nostra mentalità o si riscontra nella prassi.

Il rapporto maestri/discepoli al di fuori della tradizione latina

Nel buddismo

Nella originaria filosofia buddista, alla fine, non vi era differenza tra il ruolo dei maestri e dei discepoli, siccome tutti votati alla ricerca della felicità, sono tutti gli esseri viventi. Dato che la "condizione" o relazione che intercorre tra insegnamento e apprendimento, aiuta i discepoli, ovvero tutti gli esseri viventi, a trasformare l’aspirazione alla felicità in effetto concreto della propria vita. E rendendo così concreto il ruolo del maestro, che educa e guida nella giusta direzione con immensa compassione.
È in sostanza una "relazione tra chi ha più esperienza e chi è più giovane nella fede e nella vita", e dove l’anziano, inteso come soggetto di maggior esperienza, trasmette quel che a sua volta ha appreso negli anni.

Ogni epoca ha dei "maestri", in grado di guidare gli altri con la mente, lo spirito, l’esempio. Esempio che poi costituisce un indirizzo di vita.

Nel maestro lo spirito, che dovrebbe ispirare il comportamento personale di ognuno, e che si esprime attraverso le parole e le azioni concrete, è già compiuto; nel discepolo, invece, il raggiungimento di questo spirito è il momento finale di un processo graduale, anche irto e disseminato di difficoltà, che da una nuova direzione alla propria vita.

Accomunati in uno spirito comune, l’obiettivo del maestro e dei discepoli, dove entrambi sono ad un tempo insegnanti ed insegnati, è il medesimo. Ne deriva che, nel doppio ruolo di maestro e discepolo, seguire e mantenere giorno per giorno il fine della felicità concretizza lo spirito di entrambi ed i loro rispettivi ruoli, quale modo per sviluppare e perfezionare se stessi, e contribuire alla realizzazione dei fini comuni ed universali.

Così, fino a quando rimane viva la relazione maestro/discepolo, gli insegnamenti possono mantenere la prerogativa di essere una costante indicazione per il comportamento degli esseri umani.

Con il passare del tempo, però, si è finito con il divinizzare la figura di Budda, in questo modo rendendola più lontana, e non considerandola più come un riferimento per la vita quotidiana. Il rapporto bilaterale e di interscambio continuo fra il maestro ed il discepolo ha così perso la sua funzione, tanto da far inserire e considerare il buddismo fra le grandi religioni monoteistiche. Ma questo è un diverso argomento.

Nelle civiltà precolombiane

Limitandoci al concetto di relazione maestro / discepolo, un parallelo può pure ritrovarsi nell’Ayni. Cosa vuol dire Ayni?

Ayni è un termine adoperato dagli Inca e che vuol dire reciprocità, dare e ricevere. E’ il sacro principio di funzionamento di tutto il cosmo, e che, secondo la tradizione andina, regge tutto l’universo. Dove trasmissione e ricezione sono un tutt’uno inscindibile.





Nel Cattolicesimo

Diversamente dalle origini della filosofia buddista, e dall’Ayni, si muove invece il cattolicesimo, quando, attorno alla figura del Maestro (il Cristo), i discepoli ed i discepoli dei discepoli si muovono, sì in uno spirito comune, ma inteso esclusivamente come trasmissione dell’insegnamento. E dunque, in un quadro dove non vi è mai identificazione e/o interscambio tra Maestro e discepolo (il Primo è sempre superiore al secondo), e dove i discepoli del Maestro, a prescindere che apostoli o sacerdoti, sono soltanto dei tramiti con il Maestro.

L’evoluzione del rapporto maestri/discepoli

Nella corretta interpretazione del rapporto maestro / discepolo, nella tua vita, quando sei pronto per un nuovo passo o per una nuova crescita, il maestro si presenta sempre, ancorché sotto vesti non predefinite. Ecco perché vorrei portare l’attenzione a riflettere sul perché il rapporto maestro-discepolo si è completamente perso o comunque stravolto.

La sopravvenuta distorsione del rapporto maestri/discepoli

Partendo dalla mia base di insegnante ed allieva nello stesso tempo, curiosa come sono di cose sempre nuove, ed essendo fortunatamente una persona molto recettiva, mi è capitato sempre di imparare ed introitare molto velocemente quello che un maestro, o chi ritenevo che conoscesse più di me, mi insegnava. Questo inizialmente entusiasmava il maestro di turno, il quale però, successivamente, tendeva ad emarginarmi in ogni modo possibile quando evidentemente emergevo con le mie peculiarità e/o con le mie doti personali. Nell’ottica di un allievo che non deve mai superare il maestro, o di quella di un padre che non deve mai vedersi un figlio migliore di lui. Altrimenti entrambi con il rischio, se non con la certezza, di perdere il loro potere.

Ovviamente, la mia non vuole essere una forma di vittimismo e/o di rivalsa, ma semplicemente lo spunto di una riflessione su un dato di fatto che troppo spesso si verifica, da condividere con voi.

Detto questo, a me sembra che così interpretato il rapporto maestro / discepolo ne venga stravolto, dato che in questo modo il maestro, più che far crescere i suoi allievi, vuole mantenere la sua leadership a vita. Bene, non è manipolazione anche questa?

E’ vero che nelle situazioni che prima ho descritto i maestri trasmettono conoscenze, e anche tante; ma non vi sembra che in tal modo l’apprendimento viene pagato ad un prezzo sin troppo caro, posto che inevitabilmente pagato anche energeticamente oltre che materialmente?

E’ la tecnica del render schiavi; prima dai e poi togli, anche con gli interessi. E così, quando scopri queste realtà, crei la dinamica del bisogno.

Di tutto questo poi ti accorgi e lo vedi se sei fortunato, se hai lavorato bene su te stesso, e se sei cresciuto in autostima. Altrimenti rimarrai confinato nella tua sensazione di inadeguatezza, e necessitante del tuo maestro, a vita.

Nella mia esperienza personale, come in quella di molti, quando ho comunicato il mio disappunto per quanto constatavo, ho rilevato che quei maestri cercavano soltanto l’insegnamento ma non anche la crescita dei discepoli. Fondando il loro potere sulla sottomissione che consegue all’essere sempre e soltanto discepoli. E dato che solo i maestri erano i più forti. Ci credete?

Provate a immaginare: ancorché l'aneddoto sia scartato dalla critica moderna, propensa a ritenerlo un'enfatizzazione arbitraria del tema letterario dell'"allievo che supera il maestro" operata dal Vasari (cfr. M. Magnano, Leonardo, collana I Geni dell'arte, Mondadori Arte, Milano 2007), se davvero quest’ultimo avesse avuto ragione, e cioè che a seguito del dipinto “Il Battesimo di Cristo” (oggi al museo degli Uffizi), dipinto a più mani, la bravura di Leonardo da Vinci avrebbe spinto Verrocchio (il suo maestro), restio a un confronto diretto che iniziava a vederlo perdente, a tarpargli le ali, invece che dedicarsi esclusivamente alla scultura, avremmo mai visto il genio di Leonardo affermarsi così precocemente?

La corretta interpretazione del rapporto maestri/discepoli

Beh, io sull’incompatibilità tra maestro e discepoli, nel senso che i primi sono inarrivabili dai secondi, ho ancora un po’ da riflettere.

E’ vero che gli ostacoli e/o le delusioni che ti possono provocare i maestri, ove correttamente vissute ed utilizzate, ti insegnano a vivere ma “Est modus in rebus: sunt certi denique fines, quos ultra citaque nequit consistere rectum!” (dal poeta latino Orazio), ovvero, c’è una misura nel far le cose; vi sono precisi confini, oltre i quali e primo dei quali non può sussistere il giusto. Come a dire che nelle cose, anche da parte dei maestri, ci vuole saggezza, equilibrio, normalità.; ovvero ancora, c’è modo e modo di far le cose.

Tant’è che diceva il filosofo greco Protagora, più di 2000 anni fa, “L’UOMO E’ LA MISURA DI TUTTE LE COSE”, con la conseguenza che in tutte le cose ci vuol misura. Ribadendo dunque il principio di cui sopra:a c’è modo e modo di far le cose. Ed infatti, “quando ci volgiamo al mondo, alle cose che ci circondano, spesso non ci rendiamo conto che tutto ciò che percepiamo è solo un punto di vista, il nostro punto di vista.”. Come appunto troppo spesso fanno i maestri. Ma, “immaginiamo di fare una passeggiata, su una bellissima spiaggia. Ascoltiamo il rumore delle onde che si infrangono sulla battigia, quello del venticello che ci accarezza la pelle, il canto lontano di un gabbiano. I nostri piedi sprofondano ad ogni passo nella sabbia. Possiamo volgere il nostro sguardo al mare, spingerci sino alla linea dell’orizzonte e da qui salire nel cielo perdendoci nelle immensità delle distanze, oppure possiamo rivolgerci alla sabbia e perderci nell’infinito numero dei granelli che la compongono.” E questo non vale anche per i maestri, quando rifugiatisi nella loro scienza, guardano solo i granelli di sabbia e non l’immensità che li circonda?

Per ricevere, occorre poi una dote rara: l’umiltà. Imparare a dare ed anche a ricevere con disinteresse, non vuol dire non essere grati per quello che riceviamo, ma significa tenere lontana da noi la nostra presunzione di poter vivere senza aver bisogno degli altri.

Un allievo è come una piantina. E appena sta crescendo dovrebbe essere annaffiata. E poi se cresce bene che si fa? La si recide perché si ha paura che poi possa fare ombra? Tutto questo è contro natura.

Non è sempre facile il processo graduale che intraprenderemo, ma per vivere, partendo dal Cuore, è indispensabile, che un maestro o un insegnante, che nel nuovo mondo si profila a noi, non soltanto inizi ad insegnarci ad abbattere il nostro ego, ma acquisisca pure l’importanza di stroncare il suo ego che può emergere quando sta in cattedra. Tenuto conto che anche il poter mantenere la leadership a vita può essere, razionalmente o meno, un gioco di potere molto manipolante.

Io penso che se gli insegnanti non lottassero, fra di loro o con terzi (visti come intrusi) per mantenere la loro leadership, a mio avviso, non solo avrebbero possibilità di crescita maggiori, ma diverrebbero oltre che maestri di tecniche anche maestri di vita totalmente congruenti con quel che insegnano. Dunque, mettersi in cattedra si, ma senza mai perdere il senso dell’altro, e senza mai perdere la possibilità di dare all’altro il suo giusto valore, non solo economico. Valore da nutrire, e non da manipolare a proprio vantaggio. In un rapporto di necessario interscambio continuo. Dato che, ad esempio, non è affatto vero quel che sostiene il Sen. Giulio Andreotti quando afferma che “il potere logora chi non ce l’ha”; dato che invece è vero che “il potere logora chi ce l’ha, al momento in cui perde contatto con chi non ce l’ha!”.

In conclusione, dunque, un maestro che ad un certo punto è sicuro della crescita del suo allievo, lo aiuterà a spiccare il volo con ogni mezzo possibile, perché vedrà nel successo del suo discepolo, non un pericolo al suo potere, ma il risultato del suo potere, e di quanto è riuscito a trasmettere. In buona sostanza, il primario successo del suo ruolo di maestro. Al contrario di quei maestri che invece oggi troppo spesso si dileguano, trincerandosi dietro la loro scienza, in una situazione nella quale i pochi allievi che riescono ad emergere e vanno avanti vedono questo il valore del MAGISTER completamente desueto e perso.

Ed allora quel “Devi crescere da solo” che tante volte alla fine ci sentiamo dire, non può essere che una scusa, perché, se un’ allievo è pronto per decollare, questo vuol dire che è già cresciuto da solo, e che avendo superato lo step del primo apprendimento è pronto alla successiva fase del rodaggio. Per divenire sempre ad un tempo maestro e discepolo, ovvero insegnante ed insegnato.

Questo è il mio punto di vista, su quello che ormai si va perdendo, ben appuntando l’attenzione sul necessario recupero di quello che va salvato.

 D. S.

2 commenti:

  1. Qualcuno mi ha chiesto in privato: "Cosa intendi per baronie?"

    Si chiamano baronie quei gruppi di docenti (in particolare i grandi professori universitari) i quali gestiscono l'accesso alle categorie di insegnamento o ai dottorati di ricerca come fossero cose proprie.

    Non sulla base del merito ma sulla base dei propri interessi personali e così facendo accedere ai posti di docenza e a quelli affini soltanto figli, nipoti, fratelli, amici etc. etc.

    Tenendo presente che spesso l'accesso viene vietato ai più meritevoli, non affidando loro quei compiti che ne potrebbero far risaltare le qualità e le attitudini.

    Meditate gente, meditate.

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  2. In questi articoli c'è molto da riflettere e sempre qualcosa da imparare. Grazie
    Lucio, Macerata

    RispondiElimina

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