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martedì 2 ottobre 2012

< L’arte nel genio. Quando la spiritualità diventa arte, nel genio. >



E dopo Leonardo da Vinci (Leonardo di Ser Piero da Vinci , 14521519) venne Robert Adam (17281792). E dopo di loro, Antonio Gaudì (Antoni Gaudí y Cornet, 18521926). 


Certo, il raggio di azione di Leonardo era stato molto più vasto di quello degli altri due, ma certo è pure che tutti e tre riuscirono a fare dell’arte una poesia. 

Ognuno a suo modo. Di Leonardo e della sua spiritualità sappiamo quasi tutto, ad esempio è certo che Leonardo fu anche un grande scultore, anche se a noi non sono mai pervenute sue sculture. Cosi come è altrettanto certo che Leonardo dovette immaginare delle strutture religiose o civili complete in ogni loro dettaglio, e delle quali pure non c’è arrivato nulla. Ma che il buon Leonardo fosse un genio completo, è fuori discussione. 

Lo stesso dicasi per l’inglese Robert Adam, al quale si affidarono anche strutture di epoca romana e mediovale, rimaste all’esterno intatte, ma i cui interni egli svuotò completamente, pietra per pietra, ricostruendoli e/o ristrutturandoli nella loro interezza per dar loro nuova vita. Ma non solo, progettando realizzando e curando ogni loro parte nei più minimi particolari, affreschi, sculture decorative, decori lignei, porte, maniglie, serrature, i tappeti ed i loro disegni, decorazioni parietali, giardini e spazi esterni, e quant’altro si possa  immaginare. In un grande puzzle dove la realizzazione delle sue celebri biblioteche sono una via verso la “canoscenza” anche nel senso dantesco del termine.

Bene!: la medesima arte e le medesime sensazioni che essa genera si ritrovano oggettivamente nell’iberico Antonio Gaudì. Sensazioni che sentiamo ancora più forti, forse perché nel tempo più vicine a noi, forse perché ancora incomplete, e forse perché pervase di un misticismo al quale non siamo più abituati. 

Misticismo che si basa su una solida religiosità che non può rimanere circoscritto alle sue innumerevoli opere di Barcellona, ma che andrebbe trasmesso ed esportato in ogni parte del pianeta. 

Il gioco dei colori simile ad un caleidoscopio; l’immaginare che  l’uniformità dei colori prevede un colore più scuro in alto ed un colore più chiaro in basso affinché la luce captata dal sole fosse uniforme; il modernissimo ed attualissimo riciclaggio di materiali da demolizione come ceramiche, vetri e porcellane; il sistematico rapporto spazio-tempo, visto come una continua curvatura nella quale tutto diventa sinuoso e dolce, e dove non esiste l’aspro  rigore dell’interruzione; il fiore stilizzato in tutte le sue forme; un materiale rigido come il ferro plasmato come fosse creta; soffitti e decorazioni parietali immaginati per una quotidianità vissuta come perenne. Tutto quello che prima si è detto, non può così non racchiudersi in quei concetti di sintonia ed armonia ai quali ognuno di noi dovrebbe sempre tendere. 

Probabilmente ai predetti concetti di sintonia ed armonia tendevano pure altri due maestri coevi del liberty italiano, i maestri siciliani Giovan Battista Filippo (18251891) ed Ernesto (18571932) Basile (padre e figlio), ma manca in loro quella spiritualità di cui invece Gaudì era pieno.

Si provi ad entrare dentro “la Sagrada Familia”, dove la regolazione degli spazi sono primariamente rivolti a “Giuseppe Maria e il Bambino”; dove ogni facciata ricorda una storia sacra; dove il campanile più alto, peraltro ancora da costruire, non potrà avere un altezza superiore di circa 170 metri, e comunque superare la vetta del Montjuïc (il monte che sovrasta Barcellona) “dato che la mano dell’uomo non può superare quella di Dio”; dove rilevanti parti, in costruzione o ancora da costruire, dovranno sempre coincidere con il progetto originale; dove ogni particolare è stato in ogni caso studiato in funzione di lode all’Altissimo; e dove nel rapporto “canoscenza”->spiritualità, ovvero nelle lodi all’Altissimo, non può esservi differenza neppure con la visione di San Francesco d’Assisi (Francesco Giovanni di Pietro Bernardone (11821226), tenuto conto della vita monacale del Gaudì, che per circa un giorno venne pure scambiato per un barbone dopo l’incidente che lo portò alla morte). 

Il tutto racchiuso in un mirabile capolavoro, dove ancora c’è spazio per corifei che cantano, su più piani, sino ad una altezza di circa 30 metri; e dove erano immaginati e previsti, si ricordi che siamo a cavallo tra l’800’ ed il 900’, e dunque in un tempo in cui la spiritualità era vissuta in modo che fosse molto meno visibile dall’esterno che nei secoli precedenti, anche degli spazi per le preghiere per le suore le quali, non viste, potevano tuttavia muoversi attorno alla struttura centrale. Dunque, in uno spazio claustrale dove non c’erano i vincoli fisici della clausura: in buona sostanza cioè, in un chiostro senza chiostro. 

Ecco! Una spiritualità senza fine, senza tempo, senza limiti e senza dimensioni, affidata ad un genio e che non si ferma con il genio tant’è che moltissimi progetti del Gaudì sono ancora in costruzione. Questa è spiritualità, tant’è che il Gaudì fu anche definito come "l'architetto di Dio".

Di fronte a questa visione della spiritualità, solenne verso l’Eterno, ma assolutamente semplice e gioiosa nel quotidiano, e dove a distanza di oltre 100 anni, e si immagina per almeno altrettanti, vive quanto progettato dal Maestro: secondo le sue previsioni; secondo i suoi sogni; secondo le sue idee; secondo quell’irrazionale che diventa razionale, e che va seguito così com’è perché non può essere immediatamente compreso nella sua grandezza; ecco, di fronte a questo dovremmo fermarci a riflettere sul fatto che il sogno che ognuno di noi ha, non può fermarsi e morire con noi stessi.

 Immagini, spiritualità, progetti, ricordi, acquisizioni, trasmissioni che fanno parte del bagaglio di ognuno di noi, e che finiscono infatti con l’essere un tutt’uno che dovrebbe, non soltanto portarci verso la conoscenza, ma anche a superare quelle difficoltà della vita che ognuno di noi ha. In conclusione, che dovrebbe insegnarci a vivere in un castello incantato, le cui alte mura dovrebbero ben proteggerci, pur senza ovviamente perdere contatto con quel che ci circonda e che fa parte della nostra vita.

Come, nel caso di Gaudì, dove la sua profonda spiritualità gli rese possibile il vivere in un castello talmente incantato, che altri lo seguirono, inizialmente, e talvolta ancor oggi, senza comprenderne appieno il messaggio prima spirituale e poi civile. 




 
Altri, appunto inevitabilmente attratti dal magnetismo che la spiritualità del Genio si era sprigionata, e si sprigiona ancor oggi, nelle diverse immaginate forme d’arte. In poche parole, in una spiritualità del Genio, vista non in chiave statica, ma in chiave dinamica, e dunque in un continuo divenire di ciascuno di noi in un ottica di trasmissione che non ha fine.  E così richiamandosi quei concetti di trasmissione di energia, dove l’energia del Genio, attraverso la sua spiritualità, tocca ed alla fine si fonde con le energie di coloro che ne vengono in contatto.


Già nel XIII secolo Dante (precisamente: Durante di Alighiero degli Alighieri, 12651321) indicava la necessità della “canoscenza” come mezzo per superare una vita da “bruti”, e cioè dove la “conoscenza” è spiritualità. Altrove, e ben successivamente, si legge “Conoscere per amare, amare per proteggere, proteggere per conservare, conservare per godere”. 
Godere nella gioia della conoscenza, nella serenità dell’armonia,  e con la certezza che una sana spiritualità vissuta nel rapporto con il mondo con il quale si viene a contatto, e con il messaggio verso l’Eterno che pur non conosciamo se non spiritualmente, può soltanto apportare positività, crescita, maturazione, e conoscenze che ci portano sempre più in alto.
Ovvero, “per aspera ad astra” .
D.S.

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